sabato 2 luglio 2011

Il nostro orgoglio e il loro pregiudizio.

Un manifesto ispirato da Palmiro Togliatti.
Mi ricordo bene, anche se avevo solo otto anni, il manifesto dei comunisti italiani del 1961. Era un manifesto dove dominava un grande cielo azzurro con una falce un martello stilizzati bianchi. Sopra la falce c’era un missile stilizzato, anch’esso bianco, lanciato verso il cosmo. In basso, a distesa fino all’orizzonte, un panorama di fabbriche e cantieri. A testimoniare quanta forza avesse, di quali miracoli potesse essere capace l’uomo, finalmente libero dalla schiavitù. L’uomo libero che voleva conquistar le stelle. Il manifesto commemorava la rivoluzione russa ed era ispirato da Palmiro Togliatti.
Togliatti fu un grande leader. Lo fu più di Pietro Nenni, più di Giuseppe Saragat, più di Ugo La Malfa. Ebbe il merito e la colpa di essere veramente “il migliore”, di essere contemporaneamente moderato e comunista. In virtù del suo equilibrio e alla sua moderazione, in Italia si insediò, nel dopoguerra, il più forte partito comunista dell’occidente. Ciò accadde perché egli capì che gli italiani non sono un popolo di rivoluzionari. Così si affrettò a disarmare quei partigiani che volevano trasformare il Paese in una repubblica socialista e, con la svolta di Salerno, antepose la lotta antifascista alla fine della monarchia. Fu protagonista dei governi del periodo costituzionale transitorio, dal 1943 al 1947. Ebbe un ruolo determinate nel 1946, evitando di trasformare lo scontro fra monarchici e repubblicani in guerra civile. Seppe passare la mano dopo  la sconfitta del fronte popolare del 18 aprile 1948. Vittima di un attentato due mesi dopo, appena fuori dalla sala operatoria, si adoperò per calmare gli animi dei suoi compagni, già pronti ad imbracciare il fucile.  Nei sedici anni che seguirono fu un buon capo dell’opposizione. Aveva cultura industriale e favorì il boom economico italiano degli anni 50 assieme ad Alcide De Gasperi.  Negli anni successivi assieme ad Amintore Fanfani. Non mi stancherò mai di ricordare che,  come fu Enrico Mattei, democristiano, il braccio armato di Alcide De Gasperi per lo sviluppo industriale dell’Italia, il comunista Felice Ippolito, presidente del CNEN, artefice del gioiello nucleare italiano, fu il braccio armato di Palmiro Togliatti. La morte inaspettata di Togliatti nel 1964, all’età di 71 anni, lasciò il maggiore partito della sinistra italiana senza guida. Rimaneva il testamento politico, che indicava la via democratica ai comunisti italiani, frastornati.
I dirigenti del PCI non capirono il significato di quel testamento che era apertamente socialdemocratico. Non cercarono, Luigi Longo ed Enrico Berlinguer, l’incontro con i socialisti di Pietro Nenni e Giuseppe Saragat ma seguirono geometrie di impossibili “convergenze parallele” enunciate da un altro orfano: Aldo Moro. La classe politica che ereditò la mirabile costruzione di Togliatti e di De Gasperi, di questa nostra Repubblica Democratica fondata sul Lavoro, e quindi sulla tecnologia, non aveva nulla di tecnologico e nulla di scientifico. I ritmi di crescita italiani degli anni 50 e dei primi anni 60, senza eguali nel mondo,  rallentarono bruscamente, dopo la morte di Togliatti fino alla paralisi degli anni 70. Il terrorismo politico delle brigate rosse sostituì le ambizioni di progresso. Le bombe e le pallottole uccisero la curiosità e la voglia di avventura. Nemmeno Bettino Craxi colse il nocciolo del problema che era, in buona sostanza, di cultura industriale.
Chicco Testa, ex presidente Enel
Erano passati quasi vent’anni da quando, bambino, rimasi affascinato da quel manifesto comunista azzurro. Era il 1979 e io, giovane socialista, fui incaricato da Craxi e da Martelli, di fare la Legambiente.  Dovevo farla assieme ai comunisti, utilizzando l’ARCI (Associazione Ricreativa Culturale Italiana) come struttura di supporto. Mi misi al lavoro e stabilii i paletti. Prima di tutto si doveva garantire la compatibilità fra lo sviluppo industriale la tutela dell’ambiente. Poi occorreva individuare gli elementi di grande impatto ambientale, che inevitabilmente si traducevano in diseconomie,  e proporre la loro correzione. La mia teoria era che la tutela dell’ambiente corrispondeva sempre ad un uso razionale delle risorse quindi, in definitiva, sarebbe convenuto a tutti razionalizzare il sistema: era un problema di intelligenza. Infine, nel caso i nostri interlocutori fossero stati sordi, allora bisognava ricorrere a forme di lotta in accordo coi sindacati e le altre organizzazioni.  Ma non ci fu niente da fare. I primi due passaggi venivano sempre ignorati e la fase tre era obbligatoria perché, altrimenti,  secondo i comunisti non si creava il movimento. Infine c’era un obiettivo sempre buono: quello antinucleare. Dopo qualche tempo arrivò Chicco Testa, giovanissimo, fondamentalista , strenuo difensore della “natura selvaggia” e poco attento alla “natura umana”. Io rinunciai perché per le mie convinzioni non c’era spazio. Provò Maurizio Sacconi, anche lui molto giovane, a mettere un po’ d’ordine nel neonato movimento ecologico italiano, ma non mi risulta abbia ottenuto risultati apprezzabili. Chicco Testa invece fece carriera. Prima deputato del PCI, poi presidente dell’Enel, col compito di smantellare l’industria nucleare italiana. Dopo molti anni, a frittata fatta, Chicco Testa si è ricreduto e ha denunciato pubblicamente il non senso antinucleare italiano. Ma, a quel punto,  è terminata la sua carriera politica e si è ritirato a vita privata.
L'elezione di Angelino Alfano Segretario del PDL
Ieri ho ascoltato il bellissimo intervento di Angelino Alfano al consiglio nazionale del PDL. Mi sono riconosciuto nelle sue parole fin dal suo esordio, quando ha raccontato l’incontro del 1994 con Forza Italia e con un imprenditore sceso in campo col sole in tasca e tanta voglia di cambiare il Paese. Era un imprenditore, non un politico, perché di un imprenditore c’era bisogno. Bisognava riscoprire la cultura industriale degli anni 50, quella voglia di volare e di sfide apparentemente impossibili che unì, negli intenti, i padri fondatori della Repubblica. Purtroppo quegli intenti furono travolti dai pregiudizi dilaganti dei decenni successivi con divaricazioni che sfociarono anche nel terrorismo. Poi la fase grigia di quando sembrava tutto fosse perduto e infine il colpo di mano per imporre l’egemonia degli sconfitti dalla storia. Sono passati diciassette anni da allora e, un mese fa, è successa una cosa salutare. C’è stata una batosta elettorale a metà mandato. Una batosta a cui si è reagito come negli Stati Uniti, per la prima volta nella storia repubblicana. Nel PDL, lasciate da parte le polemiche, si sono ipotizzate le primarie, quelle vere, non quelle addomesticate. E l’imprenditore col sole in tasca ha proposto una nuova guida, dopo aver costruito, pazientemente e con orgoglio, le condizioni perché fosse accettata in modo unanime. Questo è avvenuto dopo l’ultimo atto di arroganza e di disinformazione che, con i referendum, ha fatto prevalere l’ulteriore affossamento delle nostre prospettive di crescita e di sviluppo. Una bella reazione, degna dell’alba della repubblica. Anzi, di più, perché ora è stato garantito il ricambio, cosa mai avvenuta prima. Ma garantire il ricambio non è una prudenza da politici. E' da imprenditori lungimiranti, quelli con la cultura industriale. 110702 DanieleLeoni

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